Sabato, 03 Luglio 2021 12:08

La storia di Martina Pastore: la nostra Volontaria imbarcata sulle navi quarantena

È un’esperienza che val la pena raccontare quella vissuta da Martina Pastore, giovane volontaria del nostro Comitato, che per due mesi ha offerto il suo aiuto sulle navi quarantena al largo di Lampedusa.

 

Un’importante occasione umana e professionale per lei – come ha raccontato al suo ritorno – e un momento cruciale nelle vite dei numerosissimi migranti che si trovano a bordo (le navi più grandi ospitano infatti fino a 800 persone).

Una decisione, quella di partire, che Martina ha preso spinta da una voglia di aiutare che la accompagnava da molto tempo: «Già mentre studiavo avevo il desiderio di fare delle esperienze di questo genere, addirittura volevo andare in Africa in missione. Un giorno, poi, ho visto arrivare via mail la richiesta di personale di Croce Rossa, per cui ho colto il momento e sono partita. Sono super felice di aver fatto questa esperienza, ho conosciuto persone meravigliose tra mediatori e medici, capi missione e volontari. Sono rientrata a casa perché dovevo riprendere la mia formazione, ma se potessi risalirei in nave anche subito.»

Martina – imbarcatasi negli scorsi mesi di marzo e aprile – inizialmente sarebbe dovuta permanere per soli venti giorni: «Ma svolgere questo servizio mi è piaciuto così tanto che ho deciso di prolungarlo fino a due mesi. Non si è trattato di un’esperienza facile: le risorse sono limitate in quanto ci si trova in mezzo al mare, ed è necessario arrangiarsi per riuscire a risolvere le problematiche che si presentano. Fortunatamente i farmaci presenti sono molti, ma gran parte dei migranti non è mai stato visitato da un medico, il che comporta una grande quantità di disturbi, fastidi e dolori che è necessario gestire, come mal di denti e gastriti».

Tra le problematiche dei migranti a bordo delle navi la più caratteristica riguarda sicuramente le donne: «Vengono colte da quelle che sono chiamate “crisi da conversione”: si tratta di vere e proprie crisi convulsive o di trance causate dal forte stress emotivo derivante dal lungo viaggio e dalle condizioni in cui lo si è vissuto. Sono curiose le cure che i migranti hanno ideato: aglio spalmato sul viso e la ripetizione di versetti del Corano». Un tipo di crisi che in un tempo lontano anche i medici italiani si trovavano a dover curare: «Molti anni fa succedeva anche alle donne del Sud Italia, ma ora non più, per questo vedere queste crisi a bordo delle navi è stata un’esperienza davvero particolare».

Le navi, in continuo spostamento – si muovono infatti lungo la costa non potendo restare ormeggiate in porto – ospitano sia persone negative al test che positive: il tampone viene fatto loro a 10 giorni dall’imbarco, e, mentre i negativi possono scendere, coloro che risultano positivi devono permanere in isolamento sulla nave, in un grande insieme di culture: «Gli ospiti delle navi sono di nazionalità varie, principalmente tunisini, egiziani, marocchini, subsahariani, iraniani e iraqueni in arrivo dalla Turchia: per questa ragione le lingue parlate a bordo sono moltissime, e la figura del mediatore assume grande importanza, insieme all’equipaggio della nave, lo staff CRI, i medici, gli psicologi e gli infermieri, i coordinatori, chi gestisce le questioni amministrative, chi si occupa della sfera legale degli ingressi in Italia, gli operatori del Restoring Family Link che si occupano di riunire le famiglie e molte altre figure fondamentali per la riuscita delle operazioni. La particolarità dei mediatori è che molti di loro sono stati a loro volta migranti in passato: vederli all’opera è molto bello perché si impegnano per aiutare chi ha appena vissuto un’esperienza che loro stessi hanno conosciuto, cercando di essergli di sostegno e insegnando loro il rispetto delle regole».

 

Ecco come funziona la permanenza sulle navi: «Gli ospiti restano chiusi in un gruppo di cabine, non possono muoversi liberamente e perciò vengono accompagnati sul ponte una mezz’oretta al giorno – ci ha raccontato Martina –. Il resto del tempo viene trascorso tra cabine e corridoi, chiacchierando, svolgendo attività ambulatoriali e colloqui individuali con gli operatori. Le cabine sono da 2 posti, 4 solo nei casi in cui ci siano famiglie.»

I bambini molto spesso vengono portati in Italia dalle madri, che scappano da violenze, cercano di evitar loro le mutilazioni genitali e vogliono garantirgli un futuro migliore. «All’inizio sono restie a parlare, ma dopo un po’ prendono coraggio e raccontano di non voler far vivere ai propri bambini ciò che hanno vissuto loro. Si crea un importante rapporto di fiducia anche con operatori e medici, e questo facilita la condivisione».

La loro paura più grande è quella del ritorno in patria: «I migranti sono molto spaventati da questa possibilità: per ottenere la protezione internazionale la loro storia deve essere convincente, e inoltre dipende dallo Stato di provenienza, se sono in corso guerre, se ci sono concreti rischi per loro. Molti dei migranti che arrivano qui non vogliono nemmeno fermarsi in Italia. È necessaria molta pazienza per rispettare il percorso legale, che è lungo e complicato: bisogna fare la richiesta, andare in Commissione e aspettare l’udienza. Possono passare mesi o addirittura anni prima di ottenere una risposta. Nel frattempo, hanno un permesso di soggiorno temporaneo rinnovabile che permette loro di iniziare a lavorare».

Nonostante i casi di positività al virus a bordo, Martina non si è mai sentita in pericolo, grazie alle numerose misure di sicurezza: «Ero tranquilla dal punto di vista del Covid, ero vaccinata, quindi non avevo grandi ragioni di preoccuparmi per la mia salute. Inoltre, quando si è in presenza di positivi si lavora sempre bardati con tute e protezioni, e anche con i negativi si indossano comunque sempre mascherina, camice e visiera. L’unico rischio può essere quello delle ribellioni dei presenti».

 

Tra i ricordi indelebili che Martina porterà con sè ci sono i gesti spontanei dei ragazzi intenti a svolgere le pulizie nel tentativo di dare il loro contributo e di ricreare un ambiente piacevole per tutti, la storia di un ragazzo tunisino impossibilitato a rientrare a casa perché non ben accetto a causa della sua omosessualità e i toccanti racconti di mediatori e migranti.

Al momento Martina è rientrata, ma sono ancora 4 o 5 le navi attive, a causa della stagione calda e del mare calmo che favorisce partenze e sbarchi.

Siamo orgogliosissimi di Martina e la ringraziamo di nuovo di cuore per il suo prezioso contributo!