Vita da CRIBru

Vita da CRIBru (6)

 

Arriva in sede sorridente Massimiliano – per tutti Max –, la sera concordata per questa chiacchierata. Ha da poco compiuto trent'anni anni di presenza in comitato – trent'anni da soccorritore, autista, consigliere e molto altro – e ha celebrato questa ricorrenza con una partecipazione alla fiaccolata di Solferino armato di divisa completa: neanche il caldo lo ha fermato dall'affermare, davanti a migliaia di volontari provenienti da tutto il mondo, il suo legame con Croce Rossa.

Ma andiamo con ordine: trent'anni di Croce Rossa, dicevamo, tutti trascorsi a Brugherio e che hanno preso forma dalla curiosità di un adolescente, che nel 1989 si trovava a passeggiare per la città con il suo papà: «Stavo facendo un giro con mio padre per le strade di Brugherio quando ci siamo trovati a passare in via Italia, dove allora aveva sede la Croce Rossa. Ho visto il comitato e ho pensato che mi sarebbe davvero piaciuto provare a fare il volontario, così sono entrato e mi sono iscritto al corso. Durante il mio primo anno e mezzo non ho potuto fare altro che il centralino non essendo ancora maggiorenne, ma in seguito ho iniziato a uscire in ambulanza e a svolgere diverse attività, come l'accompagnatore della guardia medica e il responsabile della logistica, servizio per cui richiedevano l'aiuto degli studenti universitari per via degli orari flessibili necessari alla ricarica delle bombole e all'organizzazione del materiale sanitario».

I trent'anni di servizio Max li ha compiuti il 13 maggio 2019, giorno del suo ingresso ufficiale in Croce Rossa con il superamento dell'esame da volontario, eppure – nonostante lo scorrere del tempo – ricorda ancora i sui primi servizi, un uomo che doveva essere sottoposto a dialisi per quanto riguarda i trasporti e una signora anziana vittima di malore poco tempo dopo, già in veste di soccorritore.

«A dire la verità ho bene impresso anche il ricordo del servizio più impressionante a cui abbia partecipato, quello di una signora che ha purtroppo perso la vita a causa di un incidente con un camion, ma con lui non dimenticherò mai neanche quello più bello, che ancora oggi mi emoziona: avevo accompagnato il medico di turno a visitare Luca, un bambino disabile costretto sulla sedia a rotelle. Sono passati vent'anni, eppure ho il suo sorriso chiaro in mente come fosse ieri».

 

Avendo cominciato il suo percorso in Croce Rossa così tanto tempo fa, Max ha avuto anche a che fare con gli imprevisti di ogni "inizio": nuovi strumenti, procedure da collaudare, organizzazione delle tempistiche. Sono passati ormai una decina d'anni da quando il comitato è stato fornito del primo DAE, e allora non tutti sapevano utilizzarlo, solo chi era certificato ne aveva le competenze.
«Una sera – ci ha raccontato – in sede è arrivato un uomo dopo una partita di calcetto, cercava il medico perché non si sentiva bene: ha avuto un arresto poco dopo, il medico è riuscito a fermare in tempo l'ambulanza che stava uscendo per un servizio. Io stavo andando a casa, avevo i figli piccoli quindi facevo turni solo serali, ho dovuto prendere il DAE nell'armadio e utilizzarlo per recuperare l'uomo, quasi non sapevamo ancora come funzionasse, ho dovuto richiamare alla mente quel poco che ci avevano detto delle procedure».

 

Tanti anni come soccorritore, quindi, ma non solo, perché Max ha ricoperto anche diversi ruoli dirigenziali, come ci ha raccontato: «Sono stato caposquadra, delegato di area 3, ho fatto parte della Protezione Civile di Croce Rossa e del consiglio direttivo del comitato: si è trattato di un'esperienza faticosa perché imponeva di mettere insieme tante teste e di coordinarle, alla fine non siamo arrivati a termine del mandato a causa di diversi dissapori, ed è stato il momento in cui ho lasciato tutte le attività dirigenziali per tornare a fare quello che all'inizio mi aveva spinto e motivato: il volontario. Alla loro nascita mi sono anche occupato dei Pionieri (quelli che oggi sono i "giovani", ndr), guidandoli fino alla nomina del loro primo commissario». Sarà in ricordo della sua esperienza come responsabile dei giovani che Max è stato anche autista del doposcuola: «Conoscevo un ragazzo che lo frequentava, e che in seguito è diventato volontario di Croce Rossa: credo che questo mi abbia spinto a volermi occupare del servizio».

Anni di dedizione che gli hanno permesso di vedere crescere il comitato e trasformarsi da una piccola realtà a qualcosa di più strutturato: «Ho visto cambiare il comitato, prima eravamo in 40, oggi siamo tantissimi e svolgiamo moltissime attività. Dal punto di vista tecnico i soccorritori sono molto più preparati, una volta uscivamo senza nessun presidio, giusto telo e coperta, poi piano piano abbiamo introdotto l'ambu e ce lo portavamo sempre su in casa. Da quando è nato il 118, poi, le procedure sono molto più definite».

 

Tante scelte di vita e tanti cambiamenti, ma una cosa è rimasta la stessa: il comitato scelto.
Non hai mai pensato di spostarti da Brugherio? «Questa sede è molto più grande e comoda rispetto a quella in cui ho iniziato, quindi ci sono stati soprattutto miglioramenti da allora, inoltre mi son sempre trovato bene con tutti, perciò non ho mai preso in considerazione la possibilità di passare altrove. Dopo l'esperienza faticosa da consigliere ho in effetti pensato di mollare tutto e lasciare la CRI, ma poi ho scelto di mettere da parte solo quel ruolo e di restare come volontario: questo mi ha dato modo di "tornare alle origini" e di apprezzare nuovamente il lato positivo del far parte di questo mondo. E questo mondo, per me, è qui a Brugherio, dove ho conosciuto tantissime persone: stare con la gente mi piace, ed è qualcosa che non cambierei nemmeno oggi. Nel corso degli anni, ovviamente, avrei avuto più volte la possibilità di passare non solo ad altri comitati ma proprio ad altre associazioni: non l'ho mai voluto perché Croce Rossa fa parte di una grande realtà, non locale ma internazionale; mi regala la soddisfazione di fare parte di un'idea condivisa di aiuto agli altri. Croce Rossa è aperta a tutti e a tutte le idee, chiede solo di condividere i sette principi come punti cardine, ma non discrimina e non limita le personalità di chi decide di farne parte».

 

Un mondo che ha dato forma a tutta la sua vita, a partire dalla sfera famigliare: infatti Max ha conosciuto sua moglie proprio qui, molti anni fa, nella vecchia sede; è diventata volontaria qualche anno dopo di lui e lo è rimasta per 10 anni, sposandolo e condividendo con lui il desiderio di offrirsi agli altri.

 

Si è trattato insomma di un percorso lungo, a tratti sicuramente faticoso, ma che lo ha anche molto arricchito – e non solo a livello sentimentale: «Per molti anni ho fatto il monitore di CRI, cioè tenevo i corsi di primo soccorso alla popolazione, ed essendo studente li tenevo principalmente nelle scuole medie. Allora ero molto timido e riservato, e per svolgere questa attività mi è stato insegnato come parlare in pubblico e come esporre le regole alle persone, come preparare le lezioni e gestire le domande: tutto questo mi è servito allora e mi serve ancora oggi nel mio lavoro».

Poi scherza: «In effetti, un lato negativo nel mio aver scelto di diventare volontario c'è stato: mi sarei laureato decisamente prima se non avessi fatto tutti quei turni!».

 

Max ha ricevuto dal comitato due medaglie, in occasione dei suoi primi 15 e 30 anni di servizio: nel secondo caso, la consegna della benemerenza – accompagnata da un attestato – è avvenuta a sorpresa, durante la festa del comitato, per celebrare insieme a tutti i colleghi quest'occasione speciale, a trent'anni dalla decisione di quel ragazzino che ancora non sapeva di essere in procinto di intraprendere un percorso che avrebbe condizionato tutta la sua vita: «Per me è stato importante iniziare a fare il volontario, perché ero molto giovane ed è stata la prima attività che mi sono scelto io: si è trattato della mia prima decisione autonoma, slegata da ogni conoscenza».

Una vera e propria scintilla, quella accesasi in Max quel 13 maggio di trent'anni fa, che ancora oggi fatica a spegnersi, come la fiaccola che questo giugno ha portato per i chilometri che separano Solferino da Castiglione delle Stiviere, per celebrare con tutto il mondo un amore destinato a durare.

 

Di donne, soprattutto durante il mese di marzo, si parla sempre molto: della loro sorprendente forza, della loro sensibilità, della loro capacità unica di vedere il mondo da un punto di vista tutto speciale. Ma cosa succede quando queste qualità vengono applicate al mondo del soccorso e del sociale? Cosa accade quando una di loro entra a far parte di Croce Rossa, portando con sé il grande bagaglio delle sue peculiarità? Per scoprirlo abbiamo scelto di parlare con una figura davvero insostituibile per il Comitato di Brugherio, in servizio da 28 anni e punto di riferimento per tantissimi volontari: Marcella, che contagia tutti con il suo entusiasmo dal 1991.

«Ho iniziato per gioco intorno ai 20 anni – ha raccontato, sorridente -, degli amici facevano parte di Croce Rossa quando ancora la sede del comitato si trovava in centro a Brugherio, in una posizione strategica: era infatti facile passarci del tempo, andare a trovare degli amici, fare conoscenze e, come nel mio caso, entrare poi a farne parte. In seguito ho vissuto il trasloco all'attuale sede, che ritengo comunque un luogo importante: passano sicuramente meno persone, ma se passano è perché sono interessate davvero, mai per caso».

Un ingresso in Comitato che già allora si prefigurava come segnale di una piccola rivoluzione: «Sono stata la seconda autista donna – ha raccontato Marcella –, ed essere donna in un ambiente molto maschile, dato che già nei '90 c'erano molti più uomini, non è sempre stato facile, ma sicuramente ne ho vissuto principalmente le positività: c'è infatti, oggi come allora, una grande cavalleria. Non è un caso che ancora oggi io mi senta a mio agio a trascorrere il mio tempo con gli uomini: sul lavoro sono l'unica donna».

Marcella ha infatti una vera e propria "doppia vita" in Croce Rossa: un ruolo da volontaria a Brugherio – comitato che l'ha vista crescere e con il quale ha instaurato un rapporto profondo – e un'occupazione a San Donato, arrivata nel momento in cui più ne aveva bisogno.

«Da Croce Rossa mi è tornato indietro quel che ho dato come un boomerang: in un momento difficile per quanto riguarda la ricerca del lavoro ho finito per trovarlo proprio in questa associazione; sono ormai quattro anni che lavoro per il comitato di San Donato. Vivo il lavoro e il volontariato molto diversamente, tengo molto a mantenere distinte le due cose. Non ho mai abbandonato il mio ruolo a Brugherio nonostante i diversi cambi di residenza: qui mi sento a casa, libera, leggera, vivo le attività con spirito diverso».

Oggi Marcella non è solo una delle poche donne che guidano le ambulanze, ma è anche formatrice autisti a Brugherio: un ruolo che abitudinariamente vede impegnati gli uomini, e che dimostra quanto spesso si tenda ancora a considerare il ruolo femminile come stereotipato. Marcella è infatti un vero asso alla guida: «Tengo molto alla sicurezza, e questa della formazione autisti è una responsabilità che mi fa piacere avere. Spesso mi accusano di essere un po' severa durante la formazione, ma in seguito vengo ringraziata, perché è proprio grazie alle mie insistenze che i futuri autisti sanno come comportarsi in situazioni fuori dall'ordinario e a risolvere i piccoli problemi che spesso si trovano ad affrontare. Quindi sì, sono severa, ma a buon rendere!»

In un vasto ventaglio di associazioni di soccorso e volontariato tra cui scegliere, perché oggi la tua scelta ricadrebbe ancora su Croce Rossa? «Sceglierei, e scelgo ogni giorno, Croce Rossa perché è un parco di divertimenti di attività: ho variato diversi campi, dai clown fino alla Protezione Civile di CRI, oggi mi dedico alla logistica, alle raccolte fondi e agli eventi, insomma quando posso cerco di aiutare gli altri e il Comitato».

L'8 marzo si celebra la figura femminile in tutto il mondo, ricordando sia le vittime di discriminazioni e violenze sia le grandi conquiste ottenute dalle donne nel corso della Storia.
Dato il tuo forte carisma – non a caso vieni definita come "In grado di vendere le forchette ai cinesi" – e la tua lunga esperienza nel volontariato, come donna inserita in un contesto che per tanti anni è stato appannaggio maschile, quali credi che siano le grandi qualità femminili?

«Spesso noi donne siamo più forti nell'affrontare determinate situazioni, sia emotivamente che fisicamente; fortunatamente io non ho mai vissuto la mia femminilità in modo negativo: se ho scelto di confrontarmi in un ambiente a così alta prevalenza maschile è perché mi ci sono sentita bene – ha spiegato Marcella –. Noi donne non siamo cosi deboli come lo stereotipo vorrebbe, anzi: c'è una reale uguaglianza tra uomo e donna, io stessa la percepisco, e ora la si cerca anche a livello lavorativo perché si è finalmente capito che attraverso l'inserimento delle figure femminili si possono andare a riempire delle grandi lacune».

Spesso le donne vengono definite come più sensibili, più empatiche. È così anche nella tua esperienza come soccorritrice?

«Io con i bimbi gioco molto, e con loro con gli anziani: nei confronti di queste categorie ho un approccio che i miei colleghi uomini non hanno. In questo vedo una sensibilità differente. Cerco di chiacchierare, di distrarre la persona, di donarle un pezzetto di vita anche durante il trasporto: a volte è un sorriso, altre una lacrima, altre ancora una semplice stretta di mano: so asciugare le loro lacrime o piangere insieme a loro, condividere le emozioni senza vergognarmene; l'uomo piuttosto ci scherza su. Se un paziente decide di condividere un momento intimo di sé sta regalando tanto, ed è giusto che io contribuisca sostenendo o condividendo la stessa emozione. Si tratta di un aspetto umano che il maschio, spesso, occulta. Questo non significa che la donna sia fragile, anzi: è più umana e sensibile, ha un'empatia diversa».

Una differenza tra uomo e donna quindi secondo te c'è, al di là delle caratteristiche personali.

«Noi donne siamo diverse dagli uomini, non c'è niente da fare. Loro hanno molte capacità ma a volte si perdono in un bicchier d'acqua. Noi, dalla nostra, abbiamo una praticità e una fantasia che a loro spesso manca. Siamo diversi e, per alcuni versi, complementari. Alcune di noi hanno una mentalità più elastica e adattabile a dei colpi di scena che a volte alcuni uomini non hanno: spesso si tratta di semplice propensione al problem solving. A volte a loro manca un po' di estro».

Tanti ruoli svolti in questi anni, tanti anche come responsabile e formatrice: cosa fa di una donna un leader perfetto?

«Le donne oggi possono ricoprire alla perfezione questa figura, che un tempo veniva destinata agli uomini: per me esserlo significa sapersi sacrificare, essere in grado di ringraziare e non dare mai per scontato il lavoro altrui. Anche per questa ragione apprezzo molto se qualcuno mi ringrazia: fa davvero la differenza. Non sopporto chi si mette in cattedra e da quella posizione privilegiata ordina agli altri cosa fare. Io sono sicuramente una gran chiacchierona, ma nonostante questo so ascoltare: ecco, credo che, al netto delle caratteristiche personali, alcune delle grandi qualità femminili, che sono le stesse che dovremmo sempre cercare in un leader, siano il saper consigliare, il sapersi calare nelle varie realtà, l'essere in grado di mettersi nei panni altrui e di dare spazio».

Marcella ha poi ripercorso velocemente i suoi ultimi anni di servizio alla ricerca di episodi positivi e negativi che l'abbiano coinvolta in quanto donna.

«Il primo episodio positivo che mi torna alla mente è davvero recente, riguarda un evento accaduto in seguito a un servizio che ho svolto solo qualche giorno fa: un'anziana signora, della quale avevo soccorso il marito, mi ha cercato presso il comitato di San Donato, e mi ha fatto recapitare una busta con una dedica e un omaggio per ringraziarmi. Per me si era trattato di un servizio come tanti, ma per la prima volta riconosciuto materialmente. Sarà che in quanto anziani sono un po' all'antica, sarà che non hanno dato per scontato nulla, neanche l'aiuto concesso a titolo gratuito, fatto sta che hanno mandato la loro portinaia a cercarmi per recapitarmi il pacchetto. Inizialmente non ho capito di che servizio si trattasse, poi li ho chiamati per ringraziarli e al suono delle loro voci ho ricordato ogni dettaglio: il signore in difficoltà, il mio aiutarlo a vestirsi, la moglie che si era un po' risentita quando l'ho aiutato a indossare le calze, forse perché si trattava di un gesto che era solita compiere lei e stavo invadendo il suo territorio. Ho ricordato tutto esattamente come lei aveva ricordato il mio nome, perché aveva chiesto esplicitamente di me, Marcella, l'unica donna dell'equipaggio. Ho capito di essere entrata per un attimo a far parte della loro vita e che questo ha segnato loro, ma ha anche emozionato tantissimo me».

Nonostante il clima generalmente positivo che si è creato intorno alla figura femminile nel mondo del soccorso, qualche episodio negativo – se pur sporadico – è capitato: «Come donna mi sono sentita a disagio con dei pazienti che si sono complimentati in modo eccessivamente volgare, perché mi rendo conto che se fossi stata uomo non sarebbe successo. In questo senso è sicuramente impegnativo essere donna. Un'altra difficoltà l'ho vissuta sul piano personale, e sono certa che capiti a molte: in 28 anni diverse persone a me vicine non hanno capito il desiderio di dedicare il mio tempo a Croce Rossa, quasi come si trattasse di un'attività poco concreta. Il volontariato per me è sempre stato una missione, ed è qualcosa che va compreso».

Una missione che è ben riconosciuta dall'associazione: Marcella il 18 dicembre 2017 ha infatti ricevuto la Croce di anzianità per i 25 anni di servizio. Un piccolo simbolo dell'impatto che ha avuto sulle vite delle persone alle quali ha dedicato il suo tempo, e di quanto sia importante la sua presenza per il comitato di Brugherio.

«Con il mio servizio in Croce Rossa mi sono regalata 28 anni di grandi emozioni e di pezzi di vita: sono stata importante per molti anche se solo per pochi istanti, e quei pochi istanti mi appagano tutti i giorni. Spesso per lavoro mi capita di prestare servizio all'ormai tristemente famoso "bosco della droga" di Rogoredo: io, forse in quanto donna, forse in quanto particolarmente empatica, non riesco a non provare emozioni per loro, a non mettermi nelle loro scarpe. Tutti abbiamo vissuto delle disgrazie, io ringrazio il mio carattere per avermi dato gli strumenti per trasformarle in qualcosa di positivo, ma non è una fortuna che abbiamo tutti. Siamo fortunati a essere noi a soccorrere, a poter stare dalla parte giusta: questo lavoro è una panoramica sulla vita che viviamo, e ci può aiutare davvero ad apprezzare ciò che siamo e che possediamo. Mi ha insegnato molto a vedere il bicchiere mezzo pieno, a essere ottimista e positiva, a vivere le mie problematiche in maniera diversa, dedicandomi agli altri. Su una cosa non ho dubbi: io dedico il mio tempo agli altri, ma mi torna indietro dieci volte quello che do».

 

Di Eleonora Riva

 

40 anni passati assieme, fianco a fianco, amandosi giorno dopo giorno.

Lino ed Errichetta hanno deciso di trasformare il loro amore in qualcosa di più grande, intraprendendo assieme un’esperienza di volontariato che ha contribuito ad arricchire ancora di più la loro vita.

Da allora la Croce Rossa è parte integrante della loro quotidianità, e loro, come coppia che svolge i servizi insieme, sono diventati simbolo di un amore che va ben oltre le fedi nuziali.

«Impiegare il tempo libero a oziare non è mai stato nella nostra ottica, abbiamo sempre avuto bisogno entrambi di muoverci e di “fare”. Così siamo arrivati in CRI… per caso». Inizia così la storia del percorso che ha portato Lino ed Errichetta alle porte di CRIBru, nel marzo 2012.

«Abbiamo iniziato con la frequenza al corso base per volontari, che abbiamo intrapreso spinti dalla voglia di scoprire cosa si facesse in una realtà come quella di Croce Rossa. – ci ha raccontato Lino – La nostra idea era quella di mettere a disposizione il nostro tempo libero per aiutare le persone in difficoltà sotto tutti gli aspetti. Abbiamo da subito provato i vari servizi nell’ambito del sociale, provando emozioni diverse ma sempre molto forti. Poi, nel 2013, è entrata a far parte del grande mondo CRIBru anche nostra figlia Manuela. Abbiamo trovato una grande famiglia che, pur tra le diverse problematiche che ogni comitato può avere, ci ha accolto e sostenuto nelle difficolta incontrate, soprattutto all’inizio; abbiamo incontrato altre coppie che, come noi, avevano sentito il bisogno di condividere questo “mondo”. Ci sono state anche delle difficoltà, perché non sempre è tutto facile! anche adesso, dopo 7 anni, non sempre è facile saper gestire le proprie emozioni! È stato bello iniziare insieme questo percorso poiché ci ha permesso di condividere diverse situazioni e ci ha fatto crescere nella consapevolezza di poter fare qualcosa di utile».

Una vita insieme anche sul fronte lavorativo: «Per 15 anni abbiamo fatto i dirigenti di una società di calcio femminile; dopo, abbiamo iniziato insieme un corso in Protezione Civile e, durante un servizio a una festa a Brugherio, ci siamo avvicinati a un banchetto della CRI. È così che abbiamo scoperto che non è solo ambulanza, ma tanto altro» ci ha raccontato Errichetta. Poi, una decisione che è stata quasi naturale: «Ne abbiamo parlato e, con ancora molti dubbi, abbiamo lasciato la Protezione Civile e partecipato al corso decidendo di approcciare solo i servizi sociali. Lu (e così che Errichetta chiama Lino, ndr), in seguito, è entrato a far parte anche della sala operativa locale per le emergenze. Spesso ci chiedono perché facciamo tutto insieme... Non saprei, forse perché ognuno di noi vive le situazioni con la propria sensibilità, e quello che coglie uno può sfuggire all’altro».

Un grande amore per il sociale, che li ha conquistati già dall'inizio: «Il nostro primo servizio di Unità di Strada resterà indimenticabile: siamo tornati a casa all'una di notte, ci siamo guardati intorno e abbiamo visto le cose che ci circondavano con altri occhi. Può sembrare banale, ma effettivamente ci si rende conto di quanto si possiede; siamo andati a dormire alle 4, avevamo tante cose da dirci, le sensazioni diverse, le difficoltà provate nell’approccio agli utenti. Lui è più “spigliato” e riusciva a dialogare, mentre io ero completamente bloccata dall’emozione. Le stesse sensazioni le abbiamo provate con i servizi nelle case di riposo, durante i quali Lu balla, canta e fa divertire, mentre a me basta tenere per mano i nostri nonnini e ascoltarli».

L'esperienza in Croce Rossa, inoltre, ha permesso loro di scoprire nuovi lati di sé: «Banchetti, raccolta fondi, raccolta alimentare... attraverso questi servizi le cose si sono capovolte: Lu è diventato più timido, mentre io ho iniziato a coinvolgere le persone e mi sono dimostrata una gran chiacchierona». Un comitato che è un toccasana anche per la mente, come ci ha raccontato lei: «A volte mi capita di essere un po’ a terra per problematiche varie, ma se ho un servizio CRI ricarico le batterie e torno a casa pronta ad affrontare le situazioni. Da un anno pensionati (coincidenze? Anche in pensione lo stesso anno!), continuiamo i nostri servizi e possiamo viverli anche con più tranquillità. In ufficio come in CRI, Lu viene un po’ definito "il santo": lui, così calmo, che sopporta questa moglie brontolona e vulcanica; spesso paragoniamo il nostro “modus vivendi tutto-insieme” a un’orchestra: io posso anche esserne il direttore, ma l’orchestra è lui, e l’uno senza l’altra avrebbe difficoltà a esistere».

 

Quando arrivo in sede Luca è lì che mi aspetta, indossa ancora il giubbotto ma sta chiacchierando con tutti. Fa parte del comitato da ben 24 anni, lo ha visto crescere, cambiare e ingrandirsi, accogliere nuovi volti e lasciarne indietro degli altri. Sarà per questo che sembra emozionato, avrebbe tante cose da dire ma non è in grado di sceglierne alcune, di selezionare nell’album dei ricordi alcuni momenti che valgano più di altri: meritano tutti di essere condivisi, hanno tutti un valore inesprimibile a parole.

«In Croce Rossa ho vissuto tutte le età della vita, da ragazzo single a padre di famiglia: la cosa meravigliosa è che in qualsiasi momento della nostra storia possiamo entrare a far parte di questo mondo e vivere un’esperienza che ci accomuna in quanto incredibile, ma che resta diversa per ognuno di noi».

Un’avventura in un mondo che differisce non solo per come lo si vive, ma anche per le ragioni che portano ogni volontario a intraprendere un percorso più o meno lungo e complesso pur di entrare a farne parte.

Ma quali sono queste motivazioni? È la domanda più gettonata che i volontari si sentono rivolgere, e che rivolgo anche a Luca.

«Quando sono entrato in Croce Rossa ero giovane, e l’ho fatto per puro senso di avventura: l’idea di viaggiare su un’ambulanza, di far parte di un equipaggio preparato, di andare in soccorso sulle emergenze, di sentire sopra di me il suono della sirena. Poi, scoprendo questo nuovo mondo che aveva le sue radici fuori dalla porta della mia casa, lontano dalle mie abitudini e da tutto ciò che conoscevo, le mie motivazioni iniziali sono state sostituite da altre ben più importanti. Venendo a contatto con molte persone sfortunate ho avuto modo di prendere coscienza della mia condizione privilegiata, di persona che non aveva mai, fortunatamente, vissuto gravi difficoltà: insomma, fortunato io, sfortunati gli altri, mi sono reso conto che, nel mio piccolo, aiutarli mi faceva stare bene».

Un pensiero che lo fa sorridere, mentre racconta: «Ciò che trovo fondamentale, e che ha contribuito a farmi proseguire il percorso fino a oggi è che, sebbene dal 1994 ci siano stati alti e bassi, e nonostante abbia vissuto sia problemi personali che relativi al mio far parte di Croce Rossa, il legame con la mia squadra mi ha sempre fatto sentire parte di qualcosa di molto grande. Quando si fa qualcosa lo si fa insieme, come in una grande famiglia. Ancora oggi – si emoziona raccontandolo – questa forza che mi viene trasmessa dai miei colleghi mi permette di fare i turni notturni nonostante il giorno dopo sia stanco e debba lavorare».

Nel suo racconto di cos’è Croce Rossa non manca un po’ di nostalgia per gli inizi, per tutte le “prime volte”, che rivivrebbe volentieri: «A volte mi verrebbe addirittura voglia di riscrivermi al corso per vivere da capo le esperienze, per sperimentare nuovamente l’entusiasmo degli inizi. Guardo i nuovi volontari e invidio loro l’emozione dei primi contatti con questo mondo: spesso cerco di assorbire il loro entusiasmo e di addizionarlo al mio, sto loro vicino per assimilarne più che posso, perché la passione per quello che si fa è ciò che aiuta ad andare avanti anche nei momenti in cui la vita sembra mettere i bastoni tra le ruote».

E il Luca di oggi, 24 anni dopo quell’importante giorno del 1994, come si sente?

«Fare da così tanti anni parte di questo comitato e averne vissuto l’evoluzione mi fa sentire parte della sua crescita: sono migliorato con lui, sia come volontario che come persona, perché mi ha dato la possibilità di stringere legami così forti che vanno al di là del turno, che coinvolgono la mia quotidianità ben oltre le porte della sede. Ho svolto diversi ruoli in questo comitato, ma l’esperienza di caposquadra è stata quella che ancora adesso ritengo mi abbia maggiormente aiutato e in cui ho dato il meglio di me, perché le persone con cui ho avuto a che fare hanno sempre reso i miei turni un piacere. Non riesco a vivere senza gli altri: senza condividere sono felice a metà».

Se c’è un’altra domanda che i volontari sono soliti sentirsi rivolgere, è quella che riguarda la loro “esperienza del cuore”, il servizio più emozionante che abbiano vissuto. La risposta di Luca è straordinaria: «Nel mio cuore porto sempre l’ultimo servizio che ho svolto. Anche avendo vissuto tante esperienze nel passato, io guardo sempre avanti: mi piace ricordare l’ultima cosa che ho fatto sperando di averla fatta nel miglior modo possibile. L’esperienza che più mi emoziona è quella che ancora devo vivere».

  

Ricordi dal campo di Bihać, avamposto di Croce Rossa per l’emergenza umanitaria sulla rotta balcanica

 

˹Quest'estate sono stata in Bosnia, nella città di Bihać, un territorio al confine con la Croazia che, nei mesi precedenti il nostro arrivo, ha visto aumentare in modo esponenziale i migranti in cerca di un passaggio verso l’Europa. Uomini, donne e bambini arrivano dai Paesi del sud attraversando zone pericolose nella speranza di ottenere protezione internazionale, altre entrano nel Paese illegalmente. La situazione è grave, e queste persone hanno bisogno di supporto.

Siamo partiti per portare materiale utile al campo profughi, come materassi, pannolini, dentifricio e molto altro. Si è trattato di un’esperienza particolarmente interessante: a colpirmi è stato l’aspetto della città, moderno e curato ma in grado di conservare, al riparo dai cespugli, a sole poche centinaia di metri, una realtà di tristezza e bisogni. I richiedenti asilo e i profughi di varie provenienze (non accettati dalla frontiera Croata) si trovano in uno vecchio studentato a tratti distrutto e parecchio danneggiato dagli attacchi durante la guerra; sono più di 800 e devono accontentarsi di un solo pasto al giorno, che viene servito con il supporto dei volontari di Croce Rossa. L’alto numero di bambini presenti rende necessario lo svolgimento di attività come il gioco e la lettura, organizzate dagli stessi volontari nel tentativo di rendere più piacevoli le loro giornate.

Attualmente, il Comune e diverse associazioni si stanno adoperando per far costruire bagni, rete fognaria, luce e altri servizi in previsione dell'inverno.

Ho incontrato persone bellissime, che lottano ogni giorno; ho conosciuto bambini che a soli 6 anni sanno parlare 4 lingue diverse - una per ogni Paese in cui sono stati durante il loro lungo viaggio verso la Bosnia - e li ho sentiti tradurre e fare da mediatori a chi aveva difficoltà nel comunicare; ho visto volontari di tutte le associazioni essere forti e non tirarsi mai indietro.

Questa esperienza mi ha fortificato: ho capito quanta sofferenza possa esistere nel mondo, ma ho anche compreso maggiormente la grande importanza del nostro ruolo di volontari. ˼

 

Alessandra, 22 anni

  

L'emozione di aiutare gli altri

 

˹Ho partecipato a diverse raccolte alimentari e devo dire che ogni volta mi ci ritrovo immersa, corpo e mente. Quando sei lì provi veramente un cocktail di emozioni! Ero all’ingresso principale del supermercato e con tanta euforia fermavo ogni carrello o persona nel raggio di 100 metri: nessuno aveva scampo!

È bello imparare a dire «Grazie comunque, buona giornata» con un sorriso sincero, anche a quelli che rispondono male o che ti ignorano. Ma è ancora più bello vedere quanta umanità c’è ancora: come la vecchiettina che, pur non sentendo la metà delle parole che le ho detto, prende il sacchetto e tutta radiosa lo sistema per bene nel suo carrellino; o la ragazza che, nonostante la madre mi abbia guardato in modo schifato pronunciando un secco «No», mi risponde sorridendo con un «Dai pure a me, buon lavoro»; e il signore che prima dice di no, sostenendo che aveva portato i soldi contati per un acquisto, ma poi torna sorprendendomi con un «Guarda un po’, quella cosa costava solo 5 euro... degli altri 5 che me ne faccio?» ovviamente intendeva donarli a noi. È come se con ognuna di queste persone si formasse una sorta di legame, dettato da un reciproco senso di gratificazione.

È invece stato difficile lavorare sentendo persone che, a ogni mia mossa, borbottavano tra loro affermando sicuri che in realtà i soldi e gli alimenti raccolti non sarebbero mai arrivati a nessun bisognoso. Ed è stato penoso sentire alcune persone che, dopo aver preso il sacchettino, rispondevano con frasi tipo «Basta che queste cose vengano date alle persone “giuste”». E quel “giuste” conteneva in sé una carica razzista avvilente. Si cerca sempre di dialogare con queste persone, di istruirle... ma non sempre è facile. Non sempre riusciamo a trasmettere in maniera efficace quelli che sono i nostri principi, in particolare l’imparzialità e l’umanità che ci spingono sempre, senza distinzioni, ad aiutare chi ha bisogno!

Ho avuto pure la fortuna di fermare una senza tetto, che mi ha spiegato brevemente la sua difficile situazione. Ho cercato di dare indicazioni, di dire che (e in che modo) la Croce Rossa può dare aiuto a chi è in difficoltà. Purtroppo questa persona non ha voluto fermarsi per parlarne ulteriormente, ma spero comunque che questo possa essere un primo passo, per lei, verso una vita migliore. Spero solo di aver fatto abbastanza e di aver fatto bene.

Sono sicura che il servizio di raccolta alimentare, se affrontato con la giusta dose di entusiasmo, possa dare un mare di soddisfazioni e di emozioni. È uno dei servizi che ti permette maggiormente di stare a diretto contatto con le persone: chi ti ferma per parlare, chi ti dice la sua, chi ti racconta di quando lavorava come comandante nell’esercito (per ben 20 minuti!), chi ti insulta, chi ti sorride e se ne va... 

Sicuramente è stancante, tanto! Ma posso assicurare che, rincasati, ci si sente il cuore stracolmo di emozioni!˼